Oggi come nel 1915 una minoranza aggressiva e potente vuole imporre la guerra

Le temps des cerises è una vecchia e struggente canzone d’amore francese. Chi fosse interessato può ascoltarla nella bellissima interpretazione di Yves Montand. Il tempo delle ciliegie, il dolce mese di maggio, mese che stiamo attraversando e che ormai è alla fine; mese che negli ultimi anni, forse a causa del cambiamento climatico, o forse semplicemente perché le stagioni a volte fanno le bizze, è stato un po’ anomalo, riservandoci spesso giornate nuvolose e fredde, o al contrario, come succede in questi giorni, eccessivamente calde e afose, neanche fossimo a luglio. 

Era il tempo delle ciliegie anche in quel  giorno di maggio del 1915, -il ventiquattro per la precisione-, quando l’esercito italiano rompendo ogni indugio passò all’offensiva dando inizio a una sanguinosissima guerra durata tre anni e mezzo, che si concluse con la vittoria dell’Italia e delle nazioni di cui era alleata, Francia, Inghilterra, Stati Uniti sugli imperi centrali, sostanzialmente l’impero Tedesco e l’impero Austro-Ungarico.

La guerra era iniziata quasi un anno prima che anche l’Italia vi prendesse parte. Il nostro paese aveva abbandonato l’alleanza con l’Austria, e si era unita alla triplice alleanza, con lo scopo, come si disse allora e come spesso si ripete anche oggi, di completare il processo risorgimentale. Non fu semplice per l’Italia entrare in guerra. La maggioranza degli italiani, allora come oggi, la guerra non la voleva. 

Alla guerra si opponevano in quegli anni le due grandi anime popolari, quella cattolica e quella socialista; ma una minoranza aggressiva e potente, gli interventisti nazionalisti, tra cui spiccava l’ex leader della sinistra socialista Benito Mussolini, e importanti settori della grande industria e della finanza, riuscì ad imporla.

Quella guerra, costò all’Italia, nei quasi quattro anni della sua durata, circa 650.000 caduti e un milione di feriti e di mutilati. Alle altre potenze belligeranti costò nel complesso milioni di morti;  e nelle sue fangose trincee tenne in gestazione i mostri che sarebbero apparsi poco dopo la sua fine. 

Questi mostri furono un’epidemia influenzale spaventosa che per numero di vittime fu superiore a quelle causate dalla stessa guerra, chiamata, non se ne è mai capito bene il motivo, Spagnola, e poi il fascismo in Italia e in Germania e la rivoluzione comunista in Russia. Dopo il primo conflitto mondiale il mondo non sarebbe più stato lo stesso.   

Eppure il nuovo secolo, il ventesimo si era aperto nel mito di un progresso che si pensava inarrestabile; progresso scientifico e tecnico che si sperava avrebbe dato all’umanità una vita illuminata dall’energia elettrica. Insieme all’illuminazione elettrica nelle città, nuove strabilianti invenzioni avevano fatto la loro comparsa, e l’umanità negli anni che precedettero il conflitto fu percorsa da un illusorio ottimismo: la scienza, la tecnica, in una parola il progresso, avrebbero sconfitto per sempre miseria e malattia. Non fu così.

Il progresso tecnico-scientifico non fu utilizzato per il benessere degli esseri umani. Il progresso tecnico diede invece agli eserciti armi con un potere distruttivo e omicida mai prima neppure immaginato. 

Fecero la loro comparsa sui campi di battaglia le mitragliatrici, i carri armati, gli aerei da combattimento, pezzi di artiglieria in grado di seminare morte e distruzione a distanze prima di allora impensabili.

Anche allora, i fautori della guerra, si badi bene in entrambi gli schieramenti, erano arciconvinti di battersi per una causa giustissima e sognavano una guerra che avrebbe posto fine a tutte le guerre. Inutile ricordare che al contrario, la prima guerra mondiale pose le premesse per il secondo ancor più terribile conflitto, la seconda guerra mondiale.

Fa strano pensare oggi alla guerra e a quella guerra lontana nel tempo. Fa strano e ad un tempo angoscia, visto che i media ci inondano quotidianamente con le immagini, con i racconti e con i dibattiti di un’altra guerra, una guerra attuale, quella fra Russia e Ucraina. Inquieta e angoscia ascoltare da più parti toni bellicosi, e vedere la Nato gonfiare i muscoli. 

Per la prima volta dalla crisi dei missili di Cuba, crisi in cui, nell’ormai lontano 1962, Stati Uniti e Unione Sovietica sfiorarono lo scontro totale, l’ipotesi di un conflitto globale non appare del tutto irrealistica. Sembra che in molti stiano dimenticando che una guerra mondiale oggi, a differenza di quella pur tremenda combattuta dai nostri avi fra il 1914 e il 1918, non avrebbe né vinti né vincitori, ma, come scrisse Italo Svevo nelle righe conclusive del suo capolavoro, La coscienza di Zeno, Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.