La moschea di via Padova a Milano non paga l’affitto per tre anni: 140.000 euro addebitati al Waqf

L’associazione guidata da Mahmoud Asfa, che gestisce da anni la nota moschea di via Padova 144 a Milano e si è candidata a ricevere dal Comune un’immobile in via Esterle, risulta morosa da alcuni anni e ha accumulato circa 120.000 euro di affitti non pagati tra il 2015 e il 2018. Alla fine però a pagare sarà l’Ente di Gestione dei beni Islamici Waqf al Islami che possiede la Moschea Mariam di Cascina Gobba, questo fatto ha ulteriormente deteriorato i rapporti già complicati tra le due realtà.

La questione era latente da anni, perché la Casa della Cultura Mussulmana di via Padova ha accumulato una sfilza di provvedimenti per sfratto da quando è scaduto il contratto di affitto e la proprietà non ha voluto rinnovarlo, inoltre ad un certo punto l’associazione non ha più corrisposto nemmeno l’indennità di occupazione creando un debito che però ora non intende pagare.

La Malacarne S.S che possiede l’immobile dopo una lunga trafila processuale, vista l’insolvenza di Asfa e soci ha deciso di chiedere alla giustizia che a pagare fosse il primo intestatario del contratto d’affitto scaduto, e non importa se il Waqf non gestiva l’immobile ormai dal 2000 e dal 2008 avendo interrotto ogni tipo di presenza e rapporto con immobile, associazione occupante e proprietà, il Tribunale di Milano ha determinato che fosse comunque sua responsabilità dell’ente presieduto da Maher Kabakebbji accollarsi il debito.  

La sala di preghiera di via Padova 144

Tutto ciò è emerso pubblicamente quando ad aprile, in pieno mese di Ramadan, il Waqf e la Moschea Mariam, di fronte alla prospettiva del pignoramento dell’immobile di via Padova 366, hanno lanciato una raccolta fondi tra i fedeli per mettere insieme la somma da pagare. La raccolta è avvenuta attraverso una serie di appelli pubblici fatti anche durante il sermone del venerdì, la comunità una volta informata ha reagito donando generosamente ma anche manifestando rabbia e delusione per un comportamento considerato molto grave dai fedeli musulmani.

Come è potuto avvenire che gli affitti non pagati dalla Casa della Cultura venissero addebitati al Waqf? 

La storia parte dal lontano 2000, quando la Casa della Cultura Islamica si insedia al primo piano dello stabile di via Padova 144, ed è una storia, che prima di giungere a questo ennesimo scontro, ha segnato la vita delle realtà organizzative dell’Islam milanese. 

La Casa della Cultura Islamica che oggi sembra non esistere più o comunque non è più attiva, visto che nell’ultimo bando comunale così come in quello analogo del 2015 il suo presidente e già Ambrogino d’Oro ha partecipato con una nuova associazione: la Casa della Cultura Mussulmana, è stata una realtà molto attiva e conosciuta nel panorama religioso e culturale legato alla comunità islamica cittadina. 

Ma è proprio dalla comunità di via Padova 144 che nascerà una nuova moschea oggi divenuta una delle realtà principali a Milano la Moschea Mariam di Cascina Gobba che si situa sempre su via Padova ma al civico 366. Questo immobile sarà all’origine di un conflitto mai sanato e che ha portato entrambe le realtà ad incontrarsi nuovamente nelle aule del Palazzo di Giustizia.

Questo perché in seguito all’acquisto dell’ex palazzina ENEL da parte della comunità sorgono differenze di carattere politico che portano ad una spaccatura interna, un gruppo guidato da Mahmoud Asfa, in quel momento molto vicino ad ambienti del centrodestra milanese e l’altro che fa riferimento all’attuale presidente del Waqf, Ente di Gestione dei Beni Islamici che possiede lo stabile di via Padova 366.

Secondo fonti ben informate all’origine dei dissidi vi è la richiesta da parte dei referenti politici di Asfa di escludere alcuni membri dell’associazione dal progetto della nuova moschea come condizione per farlo prosperare. Nel 2008 quindi si consuma la frattura che porterà alla nascita della Moschea Mariam. Asfa a quel punto accusa i suoi ex consociati di appropriazione indebita e li porta in tribunale chiedendo un risarcimento milionario. 

Celebrazione di fine Ramadan presso la Moschea Mariam di Cascina Gobba

L’accusa di Asfa si basa sul fatto che l’immobile acquistato sia stato intestato al Waqf (così come è avvenuto per decine di immobili adibiti a moschea in Italia) e che questa intestazione sia avvenuta illegittimamente. Il tribunale di Milano nel 2013 non accoglie l’istanza di Asfa e riconosce la legittimità della proprietà del Waqf rispetto allo stabile di Cascina Gobba.

Da questo momento in poi le strade si dividono nettamente perché, dopo aver perso la presidenza della Casa della Cultura Islamica, la storica associazione viene di fatto dismessa ed entra in gioco un’altra associazione, la Casa della Cultura Mussulmana, fondata nel 2012 che istituisce la sua sede in via Padova 144 e vi realizza le attività di culto fino ad oggi. In seguito è la stessa Casa della Cultura Mussulmana ad interloquire con l’amministrazione comunale e a presentarsi al bando per l’assegnazione di un immobile in via Esterle in due occasioni: nel 2015 e ora nel 2022.

Questo è un momento che si rivelerà di grande importanza per la vicenda processuale appena conclusa. In quel momento la nuova associazione fondata da Asfa e soci diviene a tutti gli effetti il soggetto che occupa e gestisce il luogo di culto informale.

Il debito e la vicenda processuale 

Il Waqf, contro il quale la Fratelli Malcarne S.S ottiene un primo decreto ingiuntivo per la somma di 116.000 ( divenuti ora 140.000 a causa di ulteriori oneri e more) in realtà non occupa materialmente l’immobile da più di vent’anni e ha lasciato l’immobile nelle mani della Casa della Cultura Islamica soppiantata in un secondo momento dalla Casa della Cultura Mussulmana. 

Inoltre la proprietà per un periodo ha chiesto e ottenuto proprio da parte della Casa della Cultura Islamica il pagamento della precedente morosità causata dallo sfratto sin dal 2012, è da notare che la Malacarne S.S non ha mai chiesto gli affitti al Waqf bensì all’associazione che materialmente occupava l’immobile. Ancora, successivamente la proprietà ha ottenuto un nuovo sfratto e da lì in poi ha chiesto ancora l’indennità di occupazione per il periodo compreso tra il 2013 e il 2015 all’associazione Casa della Cultura Mussulmana che nel frattempo continuava la sua attività nell’immobile.

Secondo il Waqf la proprietà ha quindi in quel momento iniziato un nuovo rapporto con la Casa della Cultura incentrato sull’occupazione senza titolo e sulla relativa indennità. Il Waqf si è quindi opposto alla richiesta della proprietà sostenendo di non essere tenuto a consegnare l’immobile perché sin dall’anno 2000 non era più in suo possesso bensì in quello della Casa della Cultura Islamica e di non avere da anni intrattenuto rapporto alcuno con la proprietà che chiedeva e riceveva i pagamenti dagli occupanti sfrattati.

Di diversa opinione però è stato il giudice del tribunale di Milano che con sentenza del 15 marzo 2021 ha rigettato l’opposizione dell’Ente di Gestione dei Beni Islamici, stabilendo il dovere del Waqf di risarcire la proprietà. Secondo il magistrato il Waqf era l’entità conduttrice del contratto di locazione e non avrebbe messo in atto nessuno dei passi necessari per restituire l’immobile alla proprietà e inoltre sempre secondo il magistrato anche la sentenza di risoluzione del contratto per inadempimento e la condanna al rilascio vennero pronunciate sul presupposto della qualità di conduttrice in capo al Waqf. 

In quell’occasione il Waqf non si presentò mai in giudizio e con questa scelta “rinunciò quindi ad opporre alcunché circa la cessione del contratto ad un soggetto terzo e nulla obiettò neppure quando le vennero notificati il Precetto di sloggio né l’Avviso di sloggio.” In sostanza il Tribunale di Milano imputa la responsabilità dell’insoluto all’associazione proprietaria della Moschea Mariam in quanto, anche se materialmente non era più nell’immobile occupato, non avrebbe fatto nulla per risolvere la situazione nonostante i numerosi solleciti.

In effetti, fatta salva la buona fede, è difficile capire come sia possibile che l’Ente non si sia premurato di fare la sua parte per risolvere una questione nella quale era formalmente coinvolto, anche perché così facendo ha messo a rischio quelle proprietà dei musulmani la cui tutela rappresenta la missione del Waqf stesso.

Una condotta che danneggia tutta la comunità

La Casa della Cultura Mussulmana, è l’unico tra le decine di luoghi di preghiera islamici a Milano che occupa un immobile da cui l’associazione è stata sfrattata, quindi contro la volontà della stessa proprietà, si tratta senza dubbio di un’anomalia che investe anche una questione di etica islamica. Interviene poi ad aggravare il panorama il fatto che i dirigenti dell’associazione abbiano deciso deliberatamente di non pagare l’affitto per ben tre anni, nonostante durante il periodo abbiano puntualmente riscosso le donazioni dei fedeli che di norma servono a coprire proprio le spese delle moschee. Questa vicenda rappresenta senza dubbio una brutta pagina nella storia della comunità islamica milanese e la condotta dei dirigenti della Casa della Cultura Mussulmana ha prodotto ai danni dei fedeli un danno sia economico che d’immagine.

Alla luce di questi fatti resta da chiedersi come possa un’associazione che non onora i propri doveri ed i propri debiti aspirare pretendere di ottenere in gestione un bene pubblico come l’immobile di via Esterle messo a bando dal Comune e soprattutto come dimostrerà all’amministrazione la propria solidità finanziaria dopo aver lasciato un buco di 120.000 euro.