The Fate of Abraham. Perchè l’Occidente si sbaglia sull’Islam Un’interessante contro-narrazione, parte II

Riprendiamo con questo nuovo articolo il nostro viaggio — guidati da Peter Oborne, autore del testo The Fate of Abraham; Why the West is Wrong About Islam — nelle relazioni che si sono storicamente stabilite tra l’Occidente (in particolare tre paesi che ne vengono considerati maggiormente rappresentativi, al riguardo) e il mondo islamico.

Abbiamo fatto un lunga sosta negli Stati Uniti, analizziamo ora il caso della Gran Bretagna!

“Viene spesso dimenticato che siamo il più importante potere musulmano nel mondo e che un quarto della popolazione dell’impero britannico è di fede islamica. Non abbiamo avuto membri più fedeli al trono e più fedeli alleati dell’impero al momento del bisogno”.

Sono parole del Primo Ministro inglese, David Lloyd George alla Conferenza di Pace di Parigi, nel 1919. Tuttavia, frugando nella storia, i rapporti del mondo inglese con l’Islam non sono stati sempre lineari. Il padre della storia inglese, il celebre Beda il Venerabile (The Venerable Bede) — il cui nome è stato ripreso dall’altrettanto celebre monaco benedettino inglese Alan Richard/Bede Griffiths che ha vissuto anni in ashrams nel sud dell’India divenendo un gigante del dialogo tra hindu e cristiani (molto bello il suo testo Matrimonio tra Oriente e Occidente) — è stato anche il padre, in Inghilterra, della propaganda anti-islamica. 

Beda il Venerabile, del resto — vissuto tra il 673 ed il 735 — scriveva approssimativamente un secolo dopo la morte del Profeta Muhammad ed era probabilmente atterrito dalle notizie che giungevano al proprio monastero sull’avanzata inesorabile dell’Islam nel Nord Africa e in Spagna, con un possibile coinvolgimento della Francia (scongiurato dalla vittoria franca, con l’aiuto di cavalieri germanici, sassoni e svedesi, a Poitiers, nel 732). 

Tuttavia, nota Oborne, nella “scatola dei preziosi” che Beda il Venerabile aveva ricevuto in dono da alcuni suoi devoti e che lasciò in eredità ai suoi monaci, erano presenti due ingredienti di altissimo valore per l’epoca: pepe e incenso che potevano essere ottenuti solo avendo rapporti con il giovane mondo islamico.

Nel 1213 si ha la prima missione diplomatica inglese (per ordine del re Giovanni Plantageneto — fratello di Riccardo Cuor Di Leone — passato alla storia anche come Giovanni Senzaterra e morto nel 1216) presso la corte del quarto sultano della dinastia almohade: Muhammad al-Nasir.

Stando alla versione “ufficiale”, promossa dal monaco benedettino — cronista della storia inglese —  Matteo da Parigi, Giovanni Plantageneto avrebbe offerto a Muhammad al-Nasir la sua conversione all’Islam e, di conseguenza, la trasformazione del suo regno in un califfato, in cambio di aiuto militare (essendo minacciato su più fronti, soprattutto dalla Francia). 

La missione diplomatica non ebbe successo, Muhammad al-Nasir diffidò di un monarca pronto ad abbandonare la sua fede e Giovanni Plantageneto fu costretto, dai suoi baroni ribelli, a firmare la celebre Magna Carta che avrebbe messo successivamente l’Inghilterra al riparo da possibili degenerazioni assolutiste. 

Non mancano, del resto, altre versioni della missione diplomatica inglese in Marocco e l’intento di conversione all’Islam, da parte di Giovanni Plantageneto, è a parere di diversi studiosi e dello stesso Oborne una fake news

Un monaco benedettino inglese su cui si sofferma Oborne, sottolineando il suo grande contributo alla conoscenza europea del mondo islamico, è Adelardo di Bath (1080-1152).

Questi parlava correntemente l’arabo e tradusse manoscritti di astronomia e matematica, facilitando enormemente l’utilizzo dei numeri arabi (a scapito dei “più rozzi” numeri romani) in Inghilterra. In particolare nel suo testo più importante: Quaestiones Naturales, attribuì agli arabi molte tra le idee più avanzate del tempo, esercitando una forte influenza sui successivi Alberto Magno e Ruggero Bacone.

Nel quattordicesimo secolo il celebre Geoffrey Chaucer aveva a sua volta una buona famigliarità con la lingua araba, al punto da introdurne diverse parole in quella inglese del tempo, ad esempio: almanacco, nadir, raso ed espressioni come “scacco matto”, esprimendo al contempo ammirazione, nel prologo alla sua più celebre opera: Canterbury Tales, per sapienti musulmani come Avicenna e Averroè.

Irrompono “i turchi”

Nella prima metà del sedicesimo secolo l’Impero Ottomano, sotto Solimano il Magnifico, è esteso su tre continenti e rappresenta una temibile minaccia per l’Europa cristiana.

Questo non manca di avere ripercussioni, pur indirette, sulla “periferica” Inghilterra. Enrico VIII, ad esempio, è facilitato nella sua impresa di divorzio da Caterina d’Aragona perché il nipote di lei, Carlo V che si stava prodigando per impedirlo, è impegnato a proteggere Vienna dai turchi.

Il divorzio di Enrico VIII (che aveva notoriamente una predilezione per gli abiti ottomani di seta e di velluto, adottando uno stile oggi considerato “peculiarmente Tudor”) da Caterina d’Aragona porrà le basi per un divorzio di ben altra portata storica: quello della Chiesa d’Inghilterra dalla Chiesa di Roma. 

I rapporti con il mondo ottomano — prima commerciali e poi anche politici — si stringono sotto Elisabetta I Tudor (in carica dal 1558 al 1603), figlia di Enrico VIII, che portò definitivamente l’Inghilterra fuori dall’influenza della Chiesa di Roma e che venne, difatti, scomunicata da Papa Pio V nel 1570.

La scomunica papale liberò Elisabetta I Tudor dalle ultime possibili remore a forgiare relazioni con alleati non cristiani. 

In epoca Elisabettiana messi inglesi vengono mandati anche dallo Shah di Persia e, nell’agosto del 1600, l’ambasciatore del Marocco Muhammad al-Annuri giunge a Londra, per conto del sultano Ahmad al-Mansur, con la proposta di un’alleanza anglo-marocchina in funzione antispagnola. L’ipotesi è quella di un attacco congiunto che tuttavia non verrà realizzato. Probabilmente Shakespeare inizia a scrivere l’Othello sei mesi dopo, ispirato —  secondo una diceria popolare — dalla figura di Muhammad al-Annuri.

“In meno di mezzo secolo di reggenza elisabettiana, l’Inghilterra protestante si avvicinò all’Islam più che in ogni altro periodo della sua storia, sino a oggi”.

(Jerry Brotton, This Orient Isle; Elizabethan England and the Islamic World, 2017).

Nel 1650 giunge a Londra un mercante che vi introduce l’arte turca del caffè. Dopo due anni apre, in città, la prima caffetteria cui ne seguono, nel giro di un decennio, altre ottanta. Luoghi d’incontro che sarebbero divenuti primi embrioni di compagnie di assicurazione, società finanziarie e partiti politici. L’effetto stimolante della caffeina avrebbe rappresentato un’importante novità in una società afflitta dall’alcoolismo ma non mancò chi invocò ipotesi complottiste che vedevano nel caffè un pericoloso alterante utilizzato per spingere gli inglesi a convertirsi all’Islam.

Il diciassettesimo secolo vede dunque un primo radicamento dell’Islam in Inghilterra (complice, “naturalmente”, il caffè) e, di conseguenza, un maggiore interesse di alcuni studiosi, con un primo tentativo di traduzione del Corano da parte del cappellano di Carlo I Alexander Ross, mentre la pirateria magrebina (i celebri corsari barbareschi) tormenta le coste inglesi, alla ricerca di prigionieri (in particolare prigioniere) per i mercati di schiavi e concubine del nord-africa.

Tra i prigionieri sono frequenti le conversioni all’Islam.

Merita una breve menzione, indugiando ancora nel diciassettesimo secolo, il saggio

del medico e studioso (oltre che, per un breve periodo, bibliotecario presso la prestigiosa Bodleian Library di Oxford) Henry Stubbe. Il saggio, scritto nel 1671, è stato pubblicato solo nel 1911 dopo essere stato scoperto, da alcuni cittadini dell’Impero Ottomano, a Londra. Nella visione di Stubbe, scrive Oborne, l’Islam ha riportato la cristianità alla forma originaria: una fede monoteistica con semplici regole di condotta.

L’incontro con l’Islam in India

Napoleone definiva l’Inghilterra “una nazione di commercianti” ed è abbastanza noto che sarà la East India Company a portare gli inglesi, con intenti esclusivamente commerciali, nel subcontinente indiano, trovandovi i Moghul. Il fascino esotico del paese cattura molti agenti della Compagnia delle Indie Orientali che decidono di mettere radici e, in diversi casi — spinti dall’ambizione o da questioni esistenziali — di convertirsi alla religione che oltre ad essere, allora, dominante era sicuramente più vicina a persone, almeno culturalmente, cristiane dell’autoctono Induismo: l’Islam.  

I successi commerciali della compagnia in India (che superano la concorrenza olandese ed il pericolo militare francese) portano l’Inghilterra sempre più a contatto con la cultura, l’arte e l’architettura Moghul. Se diversi inglesi, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, vivono oramai in pianta stabile in India, avendone adottato, per diversi aspetti, lo stile di vita, alcuni marinai indiani, al lavoro sulle navi della East India Company (i lascars), finiscono per stabilirsi in Inghilterra.

Piccole comunità di lascars (agli indiani, con lo sviluppo dell’impero inglese, si aggiungeranno marinai di origine somala, yemenita e malese, soprattutto dopo l’apertura del Canale di Suez nel 1869) si svilupperanno soprattutto in un paio di città portuali inglesi: Cardiff e Liverpool, dove sorgeranno i primi luoghi di preghiera e, nel 1889 a Liverpool, la prima Moschea.

Allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947 l’India conquista finalmente l’indipendenza. È la più importante colonia inglese. L’impero su cui non tramonta mai il sole è alla fase terminale ma l’Inghilterra è ormai un esempio lampante di multiculturalismo e buone relazioni con stati musulmani, soprattutto in Medio Oriente, sono da tempo vitali per la sua economia.

Inizia la guerra fredda e l’anglosfera tiene duro

Per chi ha letto il primo articolo di questa trilogia, è abbastanza chiaro che la storia della penetrazione dell’Islam negli Stati Uniti e in Inghilterra sia stata piuttosto diversa. Gli Stati Uniti sono stati a lungo molto lontani, geograficamente e politicamente, dal mondo islamico. Per secoli la presenza islamica nel Nuovo Mondo è stata rappresentata quasi esclusivamente dai discendenti della tratta atlantica degli schiavi. 

L’Inghilterra ha iniziato ad avere pur timidi rapporti commerciali con il mondo islamico quando questo era alla sua fase aurorale, rapporti che si sono enormemente intensificati, come abbiamo visto, in periodo Tudor, soprattutto elisabettiano, oltre quattrocento anni fa. Riporto di seguito alcuni dati che rimarcano differenze di una pur modesta rilevanza: nel 2017 si stimava una presenza musulmana negli USA pari a circa l’1,1% (altri dati, relativamente più recenti, parlano dello 0,9%, in ogni caso è chiaro l’ordine di grandezza, sorvolando sui decimali) della popolazione totale. Nel Regno Unito la percentuale di musulmani registrata in diverse stime nell’ultimo decennio oscilla, invece, tra il 4.5 e il 5% della popolazione complessiva e diverse città inglesi, a partire dalla capitale Londra, hanno sindaci musulmani. Nel Regno Unito l’Islam è indiscutibilmente la seconda religione del paese, negli Stati Uniti la terza, dopo il Cristianesimo e l’Ebraismo.

Tutto questo non ha particolarmente condizionato la politica anglo-americana nei confronti dell’Islam dal secondo dopoguerra ad oggi, pur a fronte di molte sfumature di cui bisognerebbe comunque tenere conto.

Il periodo della guerra fredda, terminato simbolicamente con la caduta del muro di Berlino alla fine del 1989, ha visto poche brecce nell’anglosfera. Come abbiamo riportato nell’articolo precedente, la CIA è intervenuta a sostegno dell’Anglo-Iranian Oil Company (successivamente conosciuta come British Petroleum: BP) quando il primo ministro dell’allora Persia, Muhammad Mossadegh, la nazionalizzò il primo maggio 1952. Nel 1954 lo Shah Mohammad Reza Pahlavi era già, nuovamente e saldamente, alla guida del paese e ratificò un accordo con le compagnie petrolifere occidentali tutto sommato accettabile.

Pur in maniera più defilata, il Regno Unito ha sostanzialmente sempre sostenuto, dal secondo dopoguerra a oggi, le imprese militari americane nel mondo arabo, in Medio Oriente e nella guerra in Afghanistan che ha rappresentato il pantano letale dell’Unione Sovietica tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. 

Poi è arrivato l’11 settembre che, come abbiamo visto nel precedente articolo, ha reso la vita non poco difficile ai musulmani che anche solo transitavano negli Stati Uniti, nei vent’anni successivi. Il Regno Unito non sta a guardare anche se la sua reazione è molto più discreta. La macchina della propaganda — la cui massima espressione è stata in piena guerra fredda, tra il 1948 ed il 1977, l’Information Research Department (IRD) del Foreign Office britannico che “ha fatto, naturalmente, scuola”, fornendo innumerevoli storie, fatti e dispacci ai giornali inglesi e alla BBC — intensifica il suo lavoro.

“Mezzo secolo dopo l’inizio della Guerra Fredda, i politici occidentali conclusero che l’Islam (o, in alternativa, “l’Islamismo”) rappresentava una minaccia per l’Occidente tanto seria quanto quella posta dall’Unione Sovietica nel secondo dopoguerra. Conclusero che tecniche identiche a quelle usate contro il nemico sovietico dovevano essere nuovamente messe in campo a difesa dei valori occidentali. L’approccio dell’Home Office all’Islam, a partire dall’undici settembre e poi dopo i quattro attentati suicidi che colpiscono tre diverse stazioni della metropolitana londinese il 7 luglio 2005, si è basato su un tentativo di ricreare una versione aggiornata dell’IRD”.

(The Fate of Abraham, p. 258)

La narrazione poggiava sempre sulla distinzione tra musulmani buoni e musulmani cattivi. Inoltre, il governo Blair, nel 2003, introduce il piano antiterroristico — Prevent — che collabora con diverse organizzazioni musulmane di base per prevenire fenomeni di radicalizzazione mentre, nel 2007, viene creata, nell’ambito dell’Home Office, la Research, Information and Communication Unit (RICU), a immagine e somiglianza dell’IRD che si infiltrerà nel settore, da molto tempo prospero nel Regno Unito, delle organizzazioni umanitarie o charities

Per sintetizzare con una semplice espressione, utilizzata da Oborne nel suo libro, il Regno Unito, a partire dai fatti dell’undici settembre, ingaggia una Guerra Fredda con l’Islam, troppo spesso non adeguatamente distinto da quelle forme degenerate che sostenevano di agire nel suo nome.

Il CfMM e un nuovo monarca possibilmente islamofilo

Venendo, finalmente, ai nostri giorni, per quanto — “fisiologicamente” — controversa, la questione dell’Islam nel Regno Unito è sicuramente meno problematica che in diversi altri paesi, a partire dall’Italia. L’organizzazione ombrello Muslim Council of Britain ha creato e sta continuando a creare degli efficaci anticorpi alla propaganda islamofoba. Ad esempio il Center for Media Monitoring (cfmm.org.uk) — cui abbiamo dedicato un articolo su laluce.news — che collabora costruttivamente con giornalisti presso quotidiani, periodici ed emittenti radiofoniche e televisive.

Il CfMM setaccia tutto il materiale informativo possibile intervenendo presso le redazioni e gli studi radiofonici e televisivi nel momento in cui ritiene vi siano elementi diffamatori o anche di semplice disinformazione in merito all’Islam in generale e al mondo islamico britannico in particolare. Sino ad oggi il lavoro del Centro (attivo dal 2018) è stato molto efficace, ottenendo, in molti casi, rettifiche e scuse con l’obiettivo di giungere, nel tempo, a un’informazione più obiettiva e meno soggetta a pregiudizi.

Dulcis in fundo, il nuovo re d’Inghilterra, Carlo III, patrono dell’Oxford Center for Islamic Studies da molti anni, ha avuto, in diverse circostanze, parole di grande ammirazione per l’Islam, come non ne sono mai state pronunciate nella storia della monarchia britannica che, come abbiamo visto in quest’articolo, non è nuova a rapporti amichevoli con il mondo islamico (per maggiori dettagli rimandiamo all’articolo su laluce.news: Re Carlo III e la sua ammirazione verso l’Islam). 

Del resto, la lealtà dei musulmani allo stato inglese è stata sottolineata anche da diversi statisti. Abbiamo citato David Lloyd George ma parole d’elogio giunsero anche da Winston Churchill. Credo dunque che, pur a fronte di un certo pessimismo espresso da Oborne nel suo testo The Faith of Abraham, ci siano discreti presupposti affinché il cammino dei musulmani, nel Regno Unito, possa continuare in maniera costruttiva nella cornice di un tentativo — forse, a tratti, un po’ maldestro — di società multiculturale.