Annamaria Cisint e il limite intellettuale della destra conservatrice ma anti-Islam

Da quando l’immigrazione di massa ha riversato nel nostro paese una moltitudine di musulmani provenienti in maggioranza dal Magreb, ma anche da paesi dell’Africa subsahariana e da paesi asiatici come il Pakistan e il Bangladesh, a cui si sono aggiunti non pochi convertiti italiani, è in atto una guerra, per ora grazie a Dio solo ideologica, a bassa intensità contro l’Islam. Soprattutto a destra, dove una parte non trascurabile di certo mondo cattolico, e i numerosi seguaci di quella infausta maitre à penser che è stata la giornalista e, molto sopravvalutata, scrittrice Oriana Fallaci, hanno dichiarato questa guerra.

Gli esempi sono numerosi; giornali come Libero, Il Giornale e La Verità, network televisivi Mediaset come Rete 4, e in special modo la Lega di Matteo Salvini, non perdono occasione per attaccare l’Islam presentandolo come una religione oscura, minacciosa e crudele, nemica giurata della civiltà occidentale e dei suoi valori; nemica delle donne e di ogni libertà; fautrice di un’invasione e di una sostituzione etnica e religiosa che avrebbe secondo costoro come fine ultimo il far della basilica di San Pietro una bella moschea.

il sindaco di Monfalcone, Annamaria Cisint, personifica, per la verità non da sola, tutta questa temperie anti islamica promossa dalla destra attualmente al governo. Il 16 dicembre sul quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, La Verità, la signora in questione è stata intervistata dal giornalista Maurizio Caverzan. La Cisint si è distinta in passato per una pervicace e convinta battaglia contro moschee e donne velate.

La signora Annamaria si è resa protagonista di più di una crociata. Alla sindaca, anzi al sindaco come ama farsi chiamare, non andava e non va giù ad esempio che le donne musulmane facciano il bagno coperte; lei le donne le vorrebbe convenientemente denudate; che se proprio non vogliono mettersi nude, che almeno limitassero con un bikini i centimetri quadrati di pelle coperta. Il costume intero già le provoca un certo turbamento.

Annamaria è una convinta assertrice del progresso, e il progresso, che diamine, lei lo identifica con la progressiva caduta di palandrane e altri orpelli dal corpo delle donne.

Vero è che con tutta probabilità la nonna e la bisnonna della signora sindaco alla spiaggia andavano coperte più o meno come le aborrite “islamiche” odierne, ma che dire?, noi in Italia dai tempi delle nonne siamo progrediti, e il progresso, su questo il sindaco non dubita, si identifica e si associa con la rimozione di inopinate coperture dal corpo delle bagnanti.

Che esista un sentimento, forse oggi un po’ demodé, ma tanto tanto umano, chiamato pudore, e che questo sentimento abbia accompagnato la storia dell’umanità fin dalle sue origini, facendo sì che gli uomini e le donne si distinguessero dagli animali della foresta e della savana anche in virtù di questo sentimento, è un pensiero che nemmeno sfiora la grintosa sindaco di Monfalcone.

Ma ora siamo in inverno, fa piuttosto freddo e il tema del bagno vestito delle “islamiche” non è fra i più attuali, se ne riparlerà senza dubbio col ritornare del sol leone, quando ste benedette donne bengalesi, ma non solo, si ripresenteranno in spiaggia spudoratamente coperte, e allora magari i vigili e le vigilesse del comune di Monfalcone andranno in giro occhiuti ed inflessibili a multare quelle donne, fanciulle o anziane poco importa, che non avranno ottemperato all’ordinanza comunale che impone loro di presentarsi in spiaggia convenientemente scoperte.

Oggi però l’argomento d’attualità è un altro. Il tema caro ad Annamaria è la moschea abusiva. Già solo pensare che un luogo dove la gente prega sia abusivo dovrebbe, in un paese dotato di buon senso e umanità, far amaramente sorridere. L’articolo 19 della costituzione italiana così recita: ”Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Dunque, dovrebbe bastare questo articolo della costituzione per, come si dice, tagliare la testa al toro. Professare la propria fede religiosa sia in privato che in pubblico è un diritto garantito dalla nostra carta costituzionale, un diritto garantito a “tutti”, piaccia o meno, anche ai musulmani. Si dà il caso però, soprattutto dove vi sono giunte comunali di centrodestra, che ci si attacchi ad un cavillo, quello della destinazione d’uso di un locale, per contestare ai musulmani il diritto di avere luoghi dove incontrarsi per pregare.

Ecco cosa, nella sua intervista al giornale di Belpietro, dice la sindaca: la legalità garantisce pari diritti e doveri a tutti, un garage non può diventare una discoteca. Un vecchietto che ha costruito una tettoia e deve pagarmi il condono edilizio, può chiedermi perché tollero che un centro commerciale sia stato trasformato in luogo di culto…ecc..

A parte l’intento chiaramente capzioso di questo discorso; un abuso edilizio può certamente essere un fatto grave, si pensi ad un ecomostro o a costruzioni fatte sorgere vicino a un fiume soggetto a piene pericolose, ma un locale costruito come garage o centro commerciale che si trasforma in sala di preghiera, con tutta evidenza non mette a rischio la vita e la tranquillità di nessuno.

Una domanda però sorge: siamo sicuri che lo stesso rigore, la stessa solerzia, siano stati adottati nei confronti di altre confessioni religiose, come ad esempio i testimoni di Geova? Siamo sicuri che le cosiddette ”sale del regno” siano state tutte progettate e costruite unicamente come luoghi di culto? Ben inteso, lungi da noi il voler negare ai miti testimoni di Geova, come a nessun altro, il diritto a riunirsi e a pregare; ma sicuramente lo stesso zelo, la stessa ansia per il rispetto della legge e dei regolamenti nei loro confronti non c’è stata e con tutta probabilità non ci sarà.

Così come non c’è stata nei confronti di altre confessioni minoritarie, si pensi alle varie denominazioni evangelico-protestanti, numerose in Italia e ai luoghi dove queste comunità si riuniscono per il culto. Ma per l’Islam, per la signora Cisint e per una pletora di suoi compagni e alleati, il discorso cambia.

Quando poi l’intervistatore le chiede perché non si dia il permesso di costruire una moschea, la signora risponde serafica che….. il piano regolatore non lo prevede, e io non ho intenzione di modificarlo..

Quindi la signora non si oppone, parole sue, per carità, al diritto dei musulmani di pregare in luoghi di culto appropriati; però non può tollerare che lo facciano in locali destinati ad altro uso come centri commerciali o garage, e neppure vuol permettere che i musulmani costruiscano in proprio una moschea. Quindi dove dovrebbero pregare secondo questa campionessa della tolleranza e dell’accoglienza? Ma a casa loro, e dove se no?

Nell’intervista si possono leggere altre banalità, luoghi comuni e frasi più che scontate; gli argomenti toccati sono vari, tutto un armamentario di punti saldi del pensiero islamofobo italiota tanto ben rappresentato dal primo cittadino di Monfalcone.

Crediti immagine: Vivereosopravvivere.it