L’Imam è un lavoratore spesso malpagato e poco tutelato, serve una svolta.

Ci sono in Italia molte centinaia di luoghi di culto islamico (non chiamatele moschee per carità ché altrimenti qualcuno tira fuori la questione della destinazione d’uso), 1200 secondo dati ufficiosi che circolano al Ministero dell’Interno. 

Ci riferiamo a quei luoghi sorti spontaneamente a partire dagli anni ‘80 e che rispondevano alla necessità, costituzionalmente riconosciuta e tutelata, di godere del diritto di libertà religiosa e di culto. 

Molti di essi hanno anche un imam in carica, in qualche modo stipendiato dalle comunità presso cui prestano la loro opera, altre si appoggiano a volontari che non percepiscono nessun compenso.

Leggi anche: Chi è un Imam e cosa fa. 

L’imam è una figura centrale nella vita di una comunità religiosa e spesso non se la passa affatto bene. 

Ci sono infatti imam che guadagnano 1000€ al mese e non ce la fanno a vivere decorosamente con le loro famiglie. 

Il loro salario e i loro contributi dipendono dalle offerte dei frequentatori della moschea e l’imam deve stare ben attento ad essere in sintonia con loro, pena problemi di pagamenti e turnover molto frequenti e questo è già un problema.

Qualche mese or sono è stata pubblicata una ricerca che basandosi su un campione statisticamente irrilevante identificava così l’imam-tipo: “Quarantenne, sposato, con un elevato grado d’istruzione e un’ottima conoscenza della Costituzione”, https://www.agensir.it/italia/2019/04/04/gli-imam-italiani-40enni-sposati-e-con-titolo-di-laurea-non-un-problema-ma-una-risorsa-a-beneficio-di-tutti/ magari fosse vero…

Un’indagine seria non è mai stata fatta e nell’attesa vorremmo spezzare una lancia in favore del lavoratore-imam.

E’ infatti pacifico che chi presti la sua opera in modo continuativo, full time o part time, e che ne tragga un reddito sia un lavoratore, ci sembra inevitabile corollario che sia inquadrato in modo consono a quel che fa e al suo ruolo.

Gli imam invero sono per lo più inquadrati, quando sono inquadrati, nella maniera più diversa: custodi, consulenti, colf di comunità religiosa, impiegati di concetto ecc.non esistendo una qualifica specifica nell’ordinamento italiano.

Bypassiamo per ora la questione dei titoli necessari per essere imam, in fondo se l’imam sta bene alla comunità che lo impiega non saremo noi a mettere in discussione le loro scelte… per ora.

Alcuni imam si spendono senza risparmio: guidano le 5 preghiere quotidiane, preparano coscienziosamente il sermone del venerdì, tengono lezioni per grandi e piccoli, elaborano pareri di giurisprudenza islamica, si estenuano a risolvere problemi famigliari, svolgono attività di relazione con la società italiana, le istituzioni ecc), altri invece limitano la loro attività alle sole preghiere rituali (al max un’ora al giorno nel complesso) e ai sermoni settimanali spesso scaricati dalla rete.

Credo sia opportuno che si costituisca un sindacato degli imam in Italia, stabilendo diritti economici e normativi: chi sono, cosa gli si richiede e che cosa devono avere in cambio.

Il sindacato è, o dovrebbe essere, il luogo della difesa dei diritti di coloro che appartengono ad un certo comparto lavorativo, sia esso di produzione di beni o servizi, e questo a prescindere dal fatto che i suoi aderenti abbiano uguali o simili sensibilità politiche o ideologiche.

L’emancipazione civile e sociale degli imam in Italia, la loro professionalizzazione e sviluppo culturale, passa anche per la loro emersione in quanto lavoratori e il riconoscimento dei loro diritti nell’interesse precipuo della comunità tutta.

 

 

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