Sotto Padrone: dal caporalato alla rivoluzione dei sikh nell’Agro Pontino


Tra le novità editoriali di queste settimane ce n’è una che si distingue per la sua difficile catalogazione ed è Sotto padrone – Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana. Edito dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nella collana ricerche questo libro è effettivamente un lavoro di ricerca del sociologo Marco Omizzolo, ma è anche il racconto di una rivoluzione appena cominciata, ed un auspicio perché questa vada avanti (Omizzolo è convinto che ciò stia accadendo).

L’autore però non è uno studioso/spettatore di questa rivoluzione ma ne è un agente, un fattore scatenante, una risorsa importante. Omizzolo ha conseguito un dottorato di ricerca in sociologia con una tesi sulle migrazioni internazionali e con un caso di studio empirico sulla comunità sikh nell’agro pontino (provincia rurale a sud di Roma). Lo studio diretto però è stato letteralmente partecipato perché il sociologo si è infiltrato nelle campagne pontine come bracciante agricolo, tra i braccianti indiani, “sotto caporale indiano e padrone italiano“.

Lo schema di sfruttamento descritto nel libro, che fa leva anche su persone provenienti dalla comunità straniera sfruttata, ricorre in tutte le casistiche in cui un’attività economica poggia sullo sfruttamento di una determinata comunità etnica. La testa di ponte degli sfruttatori tra gli sfruttati, il cavallo di troia, sono solitamente membri provenienti dalle stesse comunità sfruttate. Ma Omizzolo non si è limitato a raccogliere meloni ed ha letteralmente seguito un trafficante di esseri umani in Punjab, la regione dell’India dove vive la maggior parte dei fedeli del sikhismo.

Questo viaggio gli ha consentito di disegnare la tratta internazionale panjabi-pontina alla base di un sistema economico-commerciale che, dallo sfruttamento degli immigrati indiani nelle campagne laziali, arriva sulle tavole imbandite italiane e non solo. Citando il rapporto Agromafie e caporalato il libro Sotto Padrone ci informa che “l’economia non osservata in Italia è stimata in circa 208 miliardi di euro, mentre il lavoro irregolare vale 77 miliardi, ovvero il 37,3%“. Sono cifre stratosferiche, che difficilmente ci verranno raccontate dal movimento delle sardine, ed in questo sistema per l’autore “chi si ribella è di per sé un partigiano.”

Finisce qui l’esperienza di Omizzolo? Assolutamente no. Negli oltre 10 anni di lavoro per/con/dentro la comunità sikh pontina Omizzolo ha contribuito al sorgere di un fenomeno inedito in Italia per una comunità di origine straniera. Si è arrivati ad avere innumerevoli vertenze, rivolte ed occupazioni, e questo fenomeno ha avuto un suo primo apice di rilievo nello sciopero del 18 aprile 2016 e mentre il libro era in stampa c’è stato anche un altro sciopero il 21 ottobre 2019.

Il carattere innovativo del lavoro di Omizzolo sta nell’aver investito energie anche sulla formazione della comunità sikh affiancando ai corsi di lingua italiana quelli di diritto del lavoro, una materia sempre meno conosciuta ma che insegnata a questi sfruttati è stata come un detonatore. In questa parte del lavoro determinante è stato il contributo della cooperativa In Migrazione con cui sono stati organizzati i corsi. L’impostazione del lavoro di Omizzolo è dichiaratamente rivoluzionaria e tra le citazioni del libro figurano Marx, Engels, Gramsci e similari.

Il libro si presenta subito come militante e per l’autore “la struttura del mercato del lavoro è stata fatta marcire e poi fecondata col virus della precarietà”. Ma il plus del suo operato è senza ombra di dubbio la sua dimensione umana senza la quale non si sarebbe creata una speciale osmosi con cui lui è diventato il contro-caporale, il caporale nobile, della comunità sikh. Si è cimentato nello studio del sikhismo ed ha tenuto i corsi di italiano e di diritto nel tempio sikh di Borgo Hermada e nel negozio di Gurmukh Sigh, presidente della comunità Indiana nel Lazio e figura centrale in questo processo di riscatto.

 

Omizzolo ha anche passato le notti a girare per le campagne pontine e a parlare con chi, dopo una giornata di lavoro usurante, passa la notte a fare da guardia alla campagna del padrone, gratuitamente, in cambio del rinnovo del non-contratto. Sempre la dimensione umana, e la stretta collaborazione con persone altrettanto meritevoli come il sindacalista della CGIL Giovanni Gioia più volte citato nel libro, danno forse ad Omizzolo una visione a tratti romanzata del sindacato.

In questo caso si tratta della Flai-CGIL, cioè la categoria della Cgil che si occupa del settore lavorativo in questione. E’ un pattern tipico di chi conosce il sindacato “grosso” mediante particolari vertenze territoriali su ambiti lavorativi che impongono (al sindacato) un approccio conflittuale (il caso tipico è quello della Fiom-CGIL, la Cgil dei metalmeccanici, anche per la posizione che occupa nell’immaginario di sinistra).

Nell’analizzare le cause dell’attuale condizione del lavoro Omizzolo prende di mira la “delegittimazione del ruolo del sindacato e del conflitto sociale” e le “politiche neoliberiste e di deregolamentazione nei settori del lavoro e del welfare”. Ma la verità è che proprio il sindacato, CGIL compresa ed in primis, nei primi anni ’90 ha deliberatamente scelto di abbandonare la strada del conflitto per quella della concertazione, nell’esplicito intento di farsi facilitatore dell’ascesa neoliberista battezzata dal trattato di Maastricht.

Questa considerazione però non toglie nulla al giudizio sul libro che è una rara testimonianza di ricerca accademica che si fa azione sociale e fattore di cambiamento, senza l’obbiettivo di ricavarne una leadership politica: “per comprendere il fenomeno dovevo partire dall’organizzazione di un lavoro sociologicamente e metodologicamente accurato di ricerca-azione e poi di azione sociale operata direttamente sul campo… dovevo organizzare le modalità formative e poi vertenziali che potessero premettere l’autodeterminazione e l’emancipazione degli sfruttati. Non volevo diventare un attivista nè un giornalista ma restare un sociologo… non volevo essere oggettivo, concetto ambiguo in sé, ma soggettivo con approccio scientifico”.

Operazione riuscita.

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