Il Patto per la Salute non risolve i problemi della sanità italiana

A leggere il Patto per la Salute firmato pochi giorni dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si ha l’impressione che siamo come al solito ad una operazione priva di spessore, frettolosa, superficiale. Uno dei punti in oggetto è la carenza di personale sanitario a cui è stato risposto dando la possibilità ai medici di rimanere in attività fino ai 70 anni di età e consentendo a gli specializzandi, cioè ai medici in formazione, di essere assunti presso i pronti soccorso in carenza di personale. Ma ci si è chiesti perché in Italia mancano medici?

Banale a dirsi, ma per risolvere un problema bisognerebbe prima di tutto capirne le cause. Sembra però che in Italia si faccia difficoltà a fare proprio questo semplice assunto. Sarà l’ambascia di consensi, in cui sempre più pesantemente si muove la politica attuale, che non concede il giusto tempo per una riflessione adeguata. 

Uno dei punti in oggetto del Patto per la Salute è la carenza di personale sanitario a cui si è risposto dando la possibilità ai medici di rimanere in attività fino ai 70 anni di età e consentendo a gli specializzandi, cioè ai medici in formazione, di essere assunti presso i pronti soccorso in carenza di personale. Ma ci si è chiesti perché in Italia mancano medici? Perché c’è carenza cronica di figure professionali ad esempio come quelle degli anestesisti?

Nelle università italiane da anni è in vigore il cosidetto numero chiuso degli accessi a diverse facoltà come quella di medicina e chirurgia, tanto che molti giovani connazionali si spostano all’estero in paesi come l’Albania, la Romania o l’UK per poter studiare medicina. In un paese come il nostro dove certo non mancano le strutture universitarie e dove c’è una mancanza cronica di medici, che senso hanno misure del genere, che tra l’altro sono intrinsecamente una forzatura civile in quanto mettono in discussione il diritto allo studio?

La prima volta che andai all’estero per un’esperienza presso un dipartimento di emergenza, arrivai in pronto soccorso dove mi accolse un attempato e noto medico con cui avevo preso contatto dopo aver letto un suo lavoro su di una prestigiosa rivista internazionale. Fui colpito di trovarlo con “le mani in pasta”, trafelato tra un’urgenza ed l’altra. La mia soggezione aumentò quando mi accompagnò alla porta del proprio capo dipartimento. Uso al sistema italiano, fatte le dovute proporzioni, pensai che se a far il “lavoro sporco” avevo trovato un medico più che affermato, il direttore del dipartimento sarebbe stato di sicuro una sorta di “Albus Silente” della saga di Herry Potter, insomma un vetusto medico, con lunga barba bianca e chissà quale profondo sguardo indagatore dell’animo umano. Mi accolse invece, con fare informale, un giovanotto di una trentina d’anni in maniche di camicia. Quando chiesi di tale stato di cose, mi fu candidamente risposto che i medici con esperienza devono stare in prima linea e ai giovanotti avrebbero volentieri lasciato le scartoffie e gli affari burocratici!

La mentalità italiana vuole proprio il contrario. Fare carriera in ospedale, per molti, significa in qualche modo ritagliarsi delle nicchie di sempre maggiore tranquillità, astraendosi dall’attività clinica pratica, mentre i giovani inesperti si fanno le ossa sulla pelle dei pazienti, specie nell’ambito delle emergenze, dove come è logico, non c’è troppo tempo per consultarsi.

Questo decreto prospetta anche l’introduzione della figura dell’ “Infermiere di famiglia”: speriamo non nella stessa logica. Poter esercitare le professioni mediche a domicilio infatti, necessita di personale esperto, maturo sia professionalmente che umanamente, quindi queste sono posizioni non adatte a giovani senza un adeguata esperienza professionale.

Lavorare nel settore delle emergenze è una attività usurante, passare la notte in piedi in pronto soccorso è una fatica che con il tempo logora. Eppure queste professioni non sono inserite tra i lavori usuranti. Perché? Il problema è quindi anche economico, quant’è lo stipendio di un medico che gestisce un reparto di terapia intensiva o una sala rossa in pronto soccorso rispetto ad un quadro dirigenziale dello stato? Vi assicuro poco, troppo poco, se si tiene conto non solo della fatica, ma anche del continuo studio necessario e delle grandi responsabilità legali e morali che simili lavori sottendono.

E poi tra i numerosi aspetti c’è sempre quello della meritocrazia, che in Italia c’è solo a tratti, il che significa che non c’è. Prolungare la permanenza di medici anziani risolverà il problema o rischia di aggravarlo? La mancanza di prospettiva professionale dei giovani medici, e non solo, ma anche dei ricercatori delle più diverse discipline, è la spinta maggiore per l’esodo di medici formati a spese del nostro paese verso il nord Europa. Come dire che noi prepariamo la zuppa e altri la mangiano!

Il problema è di certo complesso e non può essere risolto da misure semplicistiche come l’attuale Patto per la Salute.

Siamo oramai disillusi dalla politica, certo non ci aspettiamo riflessioni ancora più profonde di queste che pure avrebbero spazio, come ad esempio quella che indurrebbe il dubbio che forse più che una carenza cronica di medici ne abbiamo un bisogno eccessivo, ma questo sarebbe chiedere troppo forse anche alla nostra società.

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