Il virus e il conforto della fede

Oggi si legge molto del panico e dell’isteria scatenati dal Coronavirus diffusosi in tutto il mondo. Un semplice ragionamento richiede che non ci si lasci contagiare da questo stato di cose. Tuttavia, la preoccupazione per il proprio benessere e per quello degli altri ambiti della nostra natura umana è un elemento fondamentale della nostra esistenza. Su tale base, contrariamente al panico, l’uomo è sempre capace di esercitare precauzione, accompagnata da un riflesso sobrio, dalla ricerca di senso e dall’analisi della situazione.

L’uomo si è formato all’insegna della globalizzazione

Il problema del virus si manifesta in un momento in cui l’uomo s’è formato all’insegna della parola chiave “globalizzazione”. La crescita eterna, l’accelerazione continua, il controllo completo, sono massime difficili da conciliare con i principi della natura. Goethe si era già occupato di questa contraddizione fondamentale: “l’aspirazione espansiva dell’uomo moderno e la propria volontà di dominio colpiscono i confini della natura.” O come il poeta ricorda altrove: “La natura ha inserito alcune scomodità tra i suoi doni più belli.”

La distanza tra ciò che dovrebbe essere e ciò che in realtà è

Oggi siamo esposti a un’inquietante minaccia proveniente dal mondo della biologia, il cui effetto riguarda anche il nostro ordine immaginario e simbolico, la cui continuità risulta sempre più difficile dopo ogni nuova crisi. I termini significativi del nostro ordine simbolico, come i diritti umani, la democrazia e la giustizia, hanno finora conferito alla nostra politica assoluta legittimità. Nella nostra concezione, da molto tempo, ci dovrebbe essere un mondo di perfezione, di mercati che distribuiscono prosperità, di società civili e di una tecnologia necessaria ad implementarli; ma c’è distanza tra ciò che dovrebbe essere e ciò che in realtà è.

Una delle conseguenze paradossali dell’epidemia di questi giorni è che privare la politica dei suoi mezzi, crea di fatto uno stato di moderazione. Meno consumo, meno libertà di viaggiare, meno risorse sono i comportamenti che avevamo teorizzato per la sopravvivenza dell’umanità. Il fatto che quanto è veramente necessario sia associato a conseguenze tanto dolorose, è probabilmente parte dell’inevitabile tragedia della condizione umana.

Lo sperare che queste limitazioni siano solo un fenomeno temporaneo e che dopo qualche mese tornino ad essere un ricordo del passato, indica il luogo spirituale che da tempo occupiamo nel progetto modernista senza lamentarci. Incorreggibili, in ogni crisi drammatica non vediamo altro che un disturbo di breve durata. Non dimentichiamo che oggi predicare la moderazione non fa vincere elezioni e permettiamo ai politici di farlo solo in condizioni di emergenza.

L’appello alla distanza sociale

L’appello alla distanza sociale, cioè di fatto la distanza tra gli esseri umani, è ora stranamente in linea con la freddezza sociale di cui erano accusate da tempo le nostre società e che adesso, anche se solo per pochi mesi, si sta trasformando in una condizione di vita omogenea. Il pensiero di causa-effetto vieta la costruzione di qualsiasi legame. Si può tuttavia intravedere ancora una certa contestualizzazione di significato; non nel senso di una teoria cospirativa, ma in quello di un inventario olistico e ponderato della nostra situazione nel suo complesso.

L’Islam esige una pratica di vita naturale che si adatta a qualsiasi situazione

“La serenità è una forma graziosa di autostima”, scrisse Marie von Ebner-Eschenbach. I Musulmani non hanno uno scudo speciale e misterioso contro le catastrofi biologiche. L’Islām esige solo una pratica di vita naturale che si adatta a qualsiasi situazione, sia essa buona o cattiva. Si tratta di una pratica che non respinge il progresso umano, ma raccomanda la moderazione e permette conforto, buon comportamento e solidarietà in ogni situazione. In verità, il Profeta disse: “I credenti sono come steli in un campo che il vento soffia avanti e indietro”.

Traduzione di Amleto Muhammad Folli e Davide Sulayman Amore 

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