In nome di Regeni salviamo migliaia di giovani come lui: intervista a Muhammad El Zaiat

L’opposizione egiziana ha scritto una lettera al Parlamento italiano per esprimere solidarietà all’Italia sul caso Regeni, ne abbiamo parlato con Muhammad El Zaiat attivista di lungo corso per la democrazia in Egitto e strenuo oppositore del regime militare di Al Sisi. 

Il caso Regeni ha dimostrato al mondo che in Egitto vige una dittatura sanguinaria, l’Egitto è a tutti gli effetti uno Stato di Polizia dove non esiste una magistratura indipendente – contrariamente all’Italia – né istituzioni che godano di un minimo di autonomia” esordisce El Zaiat. 

“Tutto è sottoposto al giogo di un dittatore, Al Sisi, che da anni terrorizza il paese, rendendo il paese una grande prigione a cielo aperto. In Egitto oltre 60.000 persone sono in carcere per le loro idee politiche, solo nel 2020 sono 68 i deceduti in carcere per mancanza di cure mediche, e qualche migliaio di egiziani ha trovato la morte in stragi di Stato, le cui più note sono gli sgomberi di Piazza Rabaa al Adawiyya e Piazza al Nahda, ma si snodano in una infinita catena di tragici eventi, come Piazza Ramsis, la Guardia Presidenziale e tanti altri”.

A tutti questi vanno aggiunti i condannati alla pena di morte, che dall’avvento di Al Sisi sono aumentati vertiginosamente. Infatti il regime ha colpito ogni forma di opposizione, dagli islamisti ai laici, agli studenti, agli attivisti per i diritti umani. Ed infatti, come commenta El Zaiat, “il povero Regeni ha avuto la sfortuna di occuparsi del mondo del lavoro, in particolare i sindacati indipendenti, oltre a sollevare la coltre del controllo militare sull’economia”.

El Zaiat conferma ciò che sta apparendo sempre più chiaramente nelle indagini, ossia che la morte di Giulio fu l’esito di una lotta interna tra apparati, ossia la temibile Sicurezza di Stato e gli altrettanto famigerati servizi segreti militari, ricordando anche le responsabilità che gravano sulla testa del figlio di al Sissi, giunto a meno di 40 anni a ruoli apicali nella gerarchia militare e decisionale del paese. Purtroppo ci fa osservare l’attivista, “al regime di al Sisi fu data luce verde da parte dell’Occidente, dagli Usa, dai paesi dell’Unione Europea stessi, come ci indica la recente visita di al Sissi a Macron.”

“E’ triste constatare che gli interessi economici hanno avuto la meglio sulla tutela dei diritti umani”. Ecco che mentre El Zaiat plaude all’iniziativa della magistratura italiana, alla società civile italiana che ha avuto il merito di tenere alta l’attenzione sulla vicenda del nostro ricercatore fino ad oggi, ci ricorda che “il caso Regeni è solo uno dei tantissimi casi analoghi che accadono quotidianamente nel nostro paese” e ringraziando la famiglia di Giulio, anche lui ne apprezza il ruolo di “portavoce di tutti i senza voce in Egitto”.

Se non siamo riusciti a salvare il povero Regeni, cerchiamo di salvare tanti altri giovani come lui, auspicando che i governi facciano tutto quello che è in loro potere per isolare il regime sanguinario del Sissi e di chi lo supporta.

Questo è il suo appello, ricordandoci come il rispetto della vita umana e della sua dignità spetti ad ogni individuo, a prescindere dalla provenienza, dalla residenza geografica, dall’etnia, dalla religione ecc. e come le violazioni continue che avvengono in Egitto, messe in luce dalla vicenda Regeni, debbano interessare tutti. 

El Zaiat ha poi commentato l’attuale situazione alla luce della clamorosa perdita di influenza dell’Egitto a livello internazionale, ormai succube delle decisioni politiche prese nel Golfo dal leader emiratino Muhammad Bin Zayd, vero decision-maker della regione. Sul piano interno è quasi ovvio che ci sia chi nell’Esercito stesso non gradisca questo ridimensionamento dello storico ruolo egiziano di paese guida nel Medio-Oriente, ed è proprio per questo, suggerisce El Zaiat che “Al Sisi continua a cambiare i vertici delle Forze Armate, non si fida di  nessuno, ha cambiato tutti i vertici del Consiglio Militare, ogni posizione di rilievo vede un continuo turn-over perché al Sissi ha paura di chi lo circonda”.

Ed infatti ci ricorda, parafrasando le parole di un noto giornalista, come Al Sisi abbia iniziato la sua ascesa con la paura ed il terrore, poi con la distruzione e gli omicidi, ed infine con la sottomissione di tutto ciò che lo circonda, a partire dal popolo egiziano per giungere alle più alte gerarchie e ad ogni istituzione nel paese.

“Il popolo egiziano vive in uno stato di terrore, il sentimento su cui Al Sisi ha basato il suo potere, persino chi lo ha sostenuto all’inizio oggi ne è terrorizzato, senza contare la drammatica situazione economica in cui versa il paese intero, con i prezzi alle stelle, gli stipendi bassi e sempre fermi, la disoccupazione dilagante, a cui si è aggiunta l’emergenza Covid, negata dal regime, che non fa nulla per fronteggiarla, lasciando morire i cittadini privi di cure mediche, costosissime e riservate ad una sempre più ristretta elitè”. Conclude El Zaiat commentando quella che è la condizione, purtroppo pessima, dell’opposizione, sempre più divisa e frammentata, senza progetti, incapace di trovare punti di unione.

“I Fratelli Musulmani, l’unica grande forza organizzata che potrebbe fronteggiare il regime, hanno subito duri colpi, la dittatura militare ha portato ad una vera e propria demonizzazione della Confraternita (shaytanat al Ikwhan), isolandola e costringendo al carcere o all’esilio la sua classe dirigente, senza considerare gli omicidi mirati di alcuni leader e molti suoi militanti”,  commenta amaramente l’attivista: “Il regime, basando la sua retorica sulla lotta al terrorismo sembra riuscito nel far barattare il rispetto dei diritti umani e della democrazia in nome della lotta all’‘islamismo’. Vediamo che oggi, la retorica della lotta all’islam politico sembra aver conquistato anche Francia, Austria e altri paesi, rischiando di mettere a rischio quello stato di diritto e quei principi di tutela dei diritti umani che hanno caratterizzato e dovrebbero caratterizzare la nostra Unione Europea”.