Tutti partecipanti volontari al nuovo grande fratello

C’è chi ama spiare e chi adora mostrarsi nel grande fratello digitale, anche se i più assecondano con disinvoltura entrambe le prospettive. Eppure la benedetta era della comunicazione ci aveva battezzati con la speranza di un’eterna comunione, grazie alla quale poter fare del mondo un’unica grande comunità, diventata però man mano un’unica bolla di immagini interconnesse.

In fondo perché lamentarsi se nel cuore di questa infinita bolla comunitaria perfino i governanti sono sempre più uguali a noi. E così ci piacciono: uomini qualunque che fanno le nostre stesse cose, usano gli stessi mezzi di comunicazione, fanno banali vacanze al mare, mangiano semplici piatti della tradizione, testimoniando ogni cosa con foto puntualmente postate e pigramente cliccate. Solo un po’ di potere e di fortuna in più li distingue dalla massa, ma non la sostanza. È la democratica fratellanza, che ci vuoi fare! La cui origine risale al passaggio di consegne tra televisione e web.

Dal Grande Fratello a Tiktok l’evoluzione del voyeur ha conosciuto diversi salti di specie, ai cui poli si trovano il guardone e il narciso. Una volta era uno spiare senza essere spiati, da cui emergeva un sentimento di altera invulnerabilità. Ora si desidera al contempo spiare ed esser spiati, da cui deriva una profonda vulnerabilità in cui viene trascinata l’immagine di sé, sottoposta ad una corrente di continue trasformazioni.

Nell’epoca dei primi reality la fatale attrazione da voyeur trovò l’apice e il suo definitivo suggello. La telecamera diventò finalmente un ideale binocolo fatto in casa con cui spiare le vite degli altri, gustandosi tutto lo spettacolo fino alla più profonda intimità dei corpi svestiti e dei sentimenti ostentati. Certo il piacere voyeuristico da Grande Fratello non era perfettamente autentico perché gli spiati sapevano della telecamera, avvertivano il suo occhio puntato, usandolo come faro della propria personale messa in scena.

In fondo era evidente come l’immagine non fosse davvero rubata sotto una lente fattasi collettiva, indebolendo così la potenza vigliacca ed isolatrice del voyeur. Passa del tempo, pochi anni sciolti in un attimo e il binocolo si capovolge. Subentra così il desiderio di esser spiati, visti e considerati piuttosto che spiare, osservare e comprendere. Un ribaltamento comunicativo capace di provocare un vento rivoluzionario che ci ha fatto credere di esser finalmente riusciti a tramutare la passività in attività. La televisione ci rendeva dei guardoni per procura, internet degli esploratori in prima persona. Soverchia illusione…  

Il Grande Fratello è stato allora il canto del cigno dei fasti televisivi, l’ultima sua grande possibilità che oggi si è andata articolando nelle infinite declinazioni dei talent show. Gli intrighi e i vuoti esistenziali dell’uomo comune hanno subito perso di fascino, almeno che non ci sia qualche talento da celebrare o ridicolizzare (le due facce della stessa festa mediatica), tanto per trasformarci da voyeur a giudici di fornelli, ugole, battute comiche e altro ancora. Oppure resistono stanchi reality imbottiti di una strana specie che con sadica ironia viene battezzata come VIP.

In realtà si tratta di personaggi del sottobosco dello spettacolo, caduti in disgrazia e la cui decadenza immaginifica ci rassicura del fatto che la nostra immagine, entrata ormai nell’ininterrotto reality dei social, tutto sommato non sia così scialba e piatta. I reality invecchiano però e lo fanno precocemente perché la realtà, quella vera, si virtualizza mentre loro sono ancora fermi alla debole illusione di trattenere nel cuore della propria essenza la stessa parola realtà.

La vera messa in scena collettiva si è spostata infatti tra i reticoli del web, in un primo momento su Facebook, capace di creare l’involucro intorno a cui si è innestata la struttura di Instagram, su cui è fiorita a sua volta l’assoluta purezza linguistica di Tiktok. Cambia la forma ma non l’essenza rappresentativa: ognuno può facilmente mettersi in scena. Allora la casa, gli affetti, le abitudini, gli ammiccamenti e perfino la tristezza vengono poste davanti al teleobiettivo, per poi esser postate propagando le larve di tante piccole identità. Ne viene fuori un caleidoscopio di spiati, finiti col diventare voyeur di loro stessi. Non si tratta più allora di catturare l’immagine altrui, ma di scrutare la propria in mezzo alle altre, tutte date spudoratamente in pasto agli occhi dei fratelli navigatori. Ecco allora cadere la distanza tra sé e la propria immagine. Quella stessa distanza necessaria ad ogni narrazione che duri nel tempo, favorendo la costruzione della personalità.  

Una cosa è certa: oggi non c’è più bisogno del Grande fratello per ritrovarci tutti insieme come splendidi fratelli spiati da uno stesso occhio, spesso strabico purtroppo. Il risultato è che prima ci incuriosiva osservare chi recitava senza copione mentre oggi, figli del grande Voyeur, finiamo col recitare tutti un po’ meglio.