I mangiatori di tempo e le loro protesi


Rifuggivo dagli scanditori artificiali che danno ancora un altro genere di tempo, quello che è senza spessore e che esclude le pause: e appunto perciò ne moltiplichiamo all’infinito gli strumenti intorno a noi. La nostra fretta, si capisce, è patologia; ansia di bruciare la vita. 

(Guido Morselli, Dissipatio H.G.)

Monopattini che scivolano sull’asfalto, minipinne e palette per sorvolare l’acqua, racchette buone a trasformare le passeggiare in trekking, scarpe elettriche per correre camminando. Le protesi fanno veloci i corpi, bruciano spazio e liberano tempo. Però il tempo, lui, continua ad essere occupato. Com’è possibile? I greci, sempre loro, lo avevano già intuito. È sufficiente pertanto lasciar riemergere la vecchia storiella paradossale di Zenone. La tartaruga partiva un istante prima di Achille, avanzava monotona e lenta mentre Achille, in piena forma e vigoria, si lanciava al suo inseguimento. I due continuavano la loro marcia illogica fino a sparire nell’orizzonte e la logica avrebbe continuato a immaginarli sempre nella stessa posizione.

Ebbene l’uomo-Achille non avrebbe mai raggiunto il tempo-tartaruga perché il segmento di distanza tra i due si sarebbe scomposto all’infinito, lasciando per sempre un infinitesimale iato tra i due competitori. Il tempo infatti dipende concettualmente (non scientificamente per carità) dallo spazio e dalla sua infinita suddivisione. Ma Achille nel frattempo non si è mai rassegnato. Sebbene invecchiato, ha continuato ad assumere i migliori allenatori della terra, che a loro volta hanno trasferito i saperi della scienza al suo corpo con la speranza di farlo andare sempre più veloce.

La tecnica non è rimasta a guardare e ha prolungato i suoi arti con tutti i mezzi a disposizione. Ma il tempo tartaruga, nascosto dalla sua corazza infinita, ha continuato a procedere irritante e irraggiungibile nel suo infinitesimale istante di vantaggio. Rivoluzioni industriali, tecnologiche, digitali hanno moltiplicato i frammenti temporali, li hanno riempiti ma il rapporto tra l’uomo e il tempo, il finito e l’infinito non si è lasciato cambiare.

Morale della storia: l’uomo corre, si affanna, libera porzioni di spazio sempre nuove per poi scoprire che non servono a niente, allora le occupa con qualcosa che serve, ma ancora una volta non ce la fa a fermarsi, s’intestardisce, accelera e nel nuovo spazio liberato ci mette altre azioni. E così via…mentre il tempo corazzato, invisibile sa di anticipare e di sopravvivere ad Achille e a tutti gli altri uomini.

Vallo a dire a quello che si tuffa in piscina sulla scia di un immaginario olimpico e un corpo tozzo e terreno, a volte franato, coi piedi che diventano pinne e mani che si fanno ali, ignorando che l’unico effetto prodotto sarà l’increspatura dell’acqua in cui nuota. Vuole imitare gli agonisti scambiando l’agone con la solitudine, l’efficienza con la deficienza. Vallo a dire allo sguardo fiero di chi scivola sull’asfalto in monopattino, cancellando lo spazio che c’è tra un passo e l’altro senza sapere che le cose decisive accadono proprio nel frattempo. La tartaruga invece lo sa. Uno-due, uno-due e in quel lento lasso di spazio può accadere qualunque cosa, mentre su una linea che scivola e sorvola sulle cose nulla accade, se non un possibile incidente stradale.

Si potrebbe allora obiettare: e le macchine, le biciclette, le moto non sono anch’esse protesi? E no…sono strumenti che ricalcano il più antico mezzo di trasporto: l’animale e in particolare il cavallo. La moto si cavalca, sulla bici si va in sella e sulla macchina si monta e si sale proprio come in carrozza. Tutte automazioni che seguono l’eco lontana della forza animale da sfruttare, mentre lo sfruttatore rimane comunque seduto. Il monopattino, le scarpe elettroniche invece fanno tutt’uno col corpo e, come ogni protesi che si rispetti, migliorano l’efficienza fisica, sopperendo a una deficienza, questa volta, non fisica ma metafisica: lo scarto incolmabile che c’è tra il tempo e l’uomo.

Dritti, in piedi, con le mani protese in avanti, i monopattinatori imitano la posa degli anziani curvi su un girello. Entrambi figli di una mancanza: gli uni del camminare, gli altri del guadagnare; gli uni lottano per trattenere il tempo, gli altri per raggiungerlo. Se non altro un vantaggio si fa strada. La banale camminata sarà infine liberata dal suo peso strumentale e potrà definitivamente elevarsi al rango di hobby agonistico, residuo del vecchio mondo analogico e autolesionistico.

I mangiatori di tempo e le loro protesi non si fermano qui, si spingono oltre fino a imparentarsi col mondo dell’estetica. Anche lì una deficienza presunta spinge all’azione e infine all’intervento reale, si afferrano bisturi e materia chimica per entrare finalmente nel corpo. Allora le labbra diventano sinuose, i culi rotondi, gli zigomi asciutti, i nasi aquilini mentre seni materni e testicoli integerrimi si scoprono pronti a lottare contro la forza di gravità. E non è tutto, perfino la verginità riesce ad esser ricostruita. Il vecchio principio, soltanto capovolto. La lotta è col tempo che fu.

Questa volta Achille si fa accompagnare da Elena. I due si voltano e si mettono a inseguire il passato, rimbalzano tra un chirurgo e l’altro ma ogni loro passo è sempre anticipato dalla tartaruga. E la testuggine non ha espressione, è lenta come una domenica d’inizio gennaio, non esprime giudizi, non ambisce a nulla, perciò non conosce paura né speranza. Invece Achille ed Elena si affannano, scivolano in avanti sempre più veloci, mentre nostalgici volgono lo sguardo all’indietro.

Nel frattempo i loro corpi saranno mutati: le protesi estetiche in preda al disfacimento se non sottoposte al vaglio puntuale dal chirurgo, le protesi di spostamento causa d’indebolimento delle gambe e d’accorciamento del respiro. Per una volta Achille ed Elena rischiano davvero d’aver anticipato il tempo; saranno vecchi, cioè deboli o mostruosi, con un po’ di anni d’anticipo. A furia d’inseguire il tempo l’hanno infine trasformato in un nemico ancora peggiore.

Eppure Zenone oggi si farebbe forse convincere dallo sguardo fiero dei monopattinatori, di quegli Achille esemplari, divenuti Cristi capaci di scivolare la terra come fosse acqua. E allora gli sorgerebbe un dubbio: ma non è che questa volta Achille in monopattino ce la fa a raggiungere la benedetta tartaruga?