Il Cavaliere di Andalusia, Capitolo 2: Kushu’, o domare e non essere domati

Il Haaj sollevò lo sguardo e, nel riconoscere il giovane davanti a lui, fece un lieve cenno con la mano invitandolo a restare seduto. “Wa alaykum as Salam wa rahmatullah, ya ghulam. Il tuo arrivo è di buon auspicio col favore di Allah. Come posso esserti d’aiuto?”

Il giovane si perse nei propri pensieri, cercando il modo migliore per esprimere la sua richiesta di divenire suo allievo. Infine, decise di proporre al Haaj semplicemente di visitare il suo destriero Sakb. Senza dire una parola, il Haaj fece cenno ad Abqar di condurre l’animale nelle stalle, mentre lui avrebbe allestito uno spazio per Sakb. Una volta giunto alle stalle, Abqar trovò Mut’im che osservò con ammirazione, mentre si prendeva cura dei cavalli e il cui lavoro era un’opera di precisione e dedizione. Per Abqar, ogni movimento di Mut’im, dalla cura degli zoccoli al pettinare la criniera, appariva come un anno di rimembranza del divino, puro dhikr.

“Che meraviglia di creatura, ma sha Allah!” esclamò lo stalliere, osservando Sakb. “Muscoli possenti, e nessun segno di fatica…” Aggiunse il Haaj, posando delicatamente la mano sul fianco dell’animale, sentendo il robusto ritmo del suo cuore. “E un cuore vigoroso.”

Nell’osservare Sakb, sembrava che il Haaj avesse letto al contempo parte dell’anima di Abqar. Con un sorriso gentile, indicò al giovane uno sgabello e procedette ad ispezionare il destriero. Abqar era incantato: se Mut’im eseguiva dhikr, il Haaj sembrava immerso in un’ibadah, una profonda e trascendente adorazione. Man mano che il Haaj si prendeva cura di Sakb con estrema destrezza e maestria, il cavallo sembrava elevarsi a qualcosa di più che una mera creatura terrena. Sembrava di osservare un artista che plasma l’argilla trasformandola in vasi pregiati.

“Sei venuto per diventare mio discepolo, vero?” Domandò all’improvviso Haaj Sari’a, cogliendo Abqar di sorpresa, il cui sguardo lo tradì.

“Vedo che non ti serve una risposta,” sorrise Abqar, il quale attendeva ansioso di sapere cosa avrebbe detto il maestro.

“Dammi del tempo per pensarci, giovane viaggiatore. Nel frattempo, ti piacerebbe ascoltare una storia?” Propose il cavaliere.

“Stare qui in silenzio, osservandoti mentre ti prendi cura di Sakb, sarebbe già un dono. Ma ascoltare una tua storia sarebbe un incommensurabile onore, ya Haaj.”

“Sari’a. Chiamami Sari’a,” rispose il cavaliere, con un cenno di rispetto. Abqar inclinò leggermente la testa, rispondendo: “E sia, Haaj Sari’a. Io sono Abqar Al-Siqilliyy.”

“In ogni sfumatura del vento e nell’ombra di ogni crepuscolo, ogni destriero racconta la sua storia, come ogni individuo. Ogni cavallo possiede un temperamento, un’energia che vibra di forza o di fragilità. L’intesa tra destriero e cavaliere non è solo un intreccio di potenza e agilità; è un connubio di stima e di fiducia. Cosa accadrebbe se l’impeto di un destriero superasse la guida del cavaliere? Può forse un cavaliere sostituire la forza bruta dell’animale? Certamente no. L’evento straordinario si manifesta quando entrambi riconoscono il proprio ruolo e la loro unione diventa una sinfonia perfetta, dove il destriero rappresenta il cuore pulsante e il cavaliere la guida sapiente.

Tra le creature più ardue da addomesticare, troviamo quei destrieri selvatici, figli e figlie delle tempeste e del deserto. Animali fieri, forti, abituati a balzare tra i pericoli e le incertezze della natura. Solo pochi cavalieri possiedono la maestria di addomesticare tali spiriti, ma non lasciarti accecare dalla sola potenza e grazia. Meglio un destriero equilibrato e leale che un animale maestoso ma imprevedibile. In campo di battaglia, il primo potrebbe sacrificare se stesso per proteggere il suo cavaliere, mentre il secondo potrebbe tradirlo nel delirio del momento.

Eppure, non sempre possiamo scegliere il nostro destriero, altrimenti, tutti avremmo animali ineguagliabili al nostro fianco. Se il tuo compagno è selvaggio, insegnagli il rispetto attraverso la disciplina, privandolo dapprima della libertà di movimento, poi del nutrimento e infine dell’acqua. Fagli comprendere la sua vulnerabilità e la tua guida come cavaliere. Se, invece, il tuo destriero è timido e riluttante, risveglia il suo spirito privandolo delle comodità e delle sicurezze che lo rendono passivo. Esponilo alle intemperie, immergilo nella realtà cruda e, attraverso la sfida, l’istinto di sopravvivenza innato in ogni destriero rivelerà il suo vero potere.

Sotto l’ardente manto del sole, i destrieri, creature di grazia e potenza, non sono concepiti per le lunghe traversate come lo sono i cammelli, resilienti e pazienti. Ai loro occhi, noi copriamo la vastità dell’orizzonte, un panorama sconfinato e a volte terrificante, che da cavalieri aspiriamo a conquistare, da un campo di battaglia all’altro. Con cura e dedizione, li abbeveriamo per ristorare le loro gole assetate, li proteggiamo con ferri ben forgiati, affinché le loro zampate siano vigorose e sicure.

È essenziale stabilire con il destriero una meta, un accordo tacito: mentre l’animale offre la sua indomita forza e una fedeltà incondizionata, il cavaliere promette direzione e conoscenza del percorso. La vera dimora del cavaliere diventa la strada polverosa e sconfinata, dove passa giorni, mesi e anni in simbiosi col suo destriero. Sotto l’ampio cielo, le stelle piazzate da Allah brillano come fari e fungono da bussola mentre le nuvole si dipanano come un velo di seta, il sole, nel suo splendore, illumina la loro strada come una lampada.

In questo intreccio tra cavaliere e destriero, la sella emerge come elemento mediatore. È essa, con la sua sagoma e le sue cuciture, che consente al cavaliere di sfruttare al meglio l’energia del destriero. Una sella malandata renderà il viaggio una tortura per entrambi; una sella troppo ornata e massiccia sarà un peso per il cavallo, mentre l’assenza di essa affliggerà il cavaliere. Questa sella diventa il Sirat, il ponte tra due mondi, ciò che fonde cavaliere e destriero in un’entità unica e indivisibile. E, in questo legame sacro, la responsabilità di fornire una sella adeguata ricade sulle spalle del cavaliere.

Non si può sottovalutare l’essenza del destriero che, al di là della sua magnifica struttura, possiede un cuore pulsante e un’anima vibrante, simile a quella del cavaliere. Nelle lunghe ore del loro viaggio, i loro cuori dialogano in una melodia silente, cantando insieme le lodi del Hamid. Non c’è nulla di più emozionante e sacro del momento in cui la voce del cavaliere eleva il Corano e il dhikr, armonizzandosi col ritmico galoppo del destriero e con i battiti profondi dei loro cuori congiunti.

Nel vasto e insondabile deserto, le oasi emergono come gemme preziose, offrendo riposo e ristoro lungo il cammino. Esse rappresentano la distinzione tra la salvezza e la perdizione, tra trionfo e tragedia, tra l’energia vitale e l’ultimo respiro. Immagina di percorrere questo deserto: il corpo e l’anima del destriero, così come del cavaliere, ansimano sperando in queste sospirate pause. Se spingi il tuo destriero a correre impetuoso come il vento del deserto, chiediti: fino a quando potrà resistere? Se, invece, lo guidi con saggezza e equilibrio, quanta strada potrai percorrere? Ma infine, se cavalchi mantenendo quell’equilibrio e concedendo a entrambi riposo sotto le palme rigogliose delle oasi, scoprirai che l’orizzonte si estenderà ben oltre ciò che la vista può catturare.

Sì, non ogni traversata necessita di una marcia prolungata e, in certi momenti di battaglia, la rapidità può essere decisiva. Tuttavia, un cavallo o un destriero non allenati per il lungo viaggio possono trasformarsi in compagni agitati. E come proclamò il Habib Muhammad – pace e benedizioni su di lui e tutti i Profeti – “l’impetuosità e la precipitazione sono il soffio di Shaytan.”

Il legame tra il destriero e il cavaliere va oltre la semplice connessione tra una creatura e il suo padrone. Quando i due si fondono in un’unica entità, trascendono le loro forme fisiche. Ciò che emerge è un intreccio indissolubile di stima, dedizione e rispetto. Chi si accontenta di guardare solo la superficie, chi pretende di essere cavaliere senza averne l’anima, rimane cieco alla profondità di tale connessione, accontentandosi delle apparenze e delle forme.

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