Condannato David McBride, la “talpa” che rivelò i crimini commessi in Afghanistan dai militari australiani

Negli ultimi decenni, l’occidente ha perso molta della sua credibilità in materia di diritti umani a causa degli innumerevoli crimini commessi in giro per il mondo in nome della “democrazia”, ma anche per i comportamenti autoritari e violenti utilizzati sempre più spesso nei confronti dei propri cittadini per reprimere chi si oppone al pensiero dominante.

A conferma di ciò, è proprio notizia di questi giorni che David McBride, maggiore dell’esercito britannico e poi avvocato in quello australiano, è stato condannato a 5 anni e 8 mesi di carcere per aver denunciato pubblicamente i crimini di guerra commessi dai militari australiani in Afghanistan. Quindi, anche il governo australiano, così come tanti altri governi occidentali, ha dimostrato ancora una volta di avere più interesse a mettere a tacere chi denuncia i crimini piuttosto che a condannare i militari che quei crimini li hanno commessi.

D’altronde, anche Julian Assange, il giornalista australiano fondatore di Wikileaks, in tutti questi anni non è mai stato difeso pubblicamente e ufficialmente dal proprio paese di origine, ma anzi viene tuttora lasciato in balia dei governi di USA e Gran Bretagna, paesi che hanno dimostrato di non avere assolutamente a cuore la verità, ma solo i propri interessi militari ed economici su scala globale.

David McBride ha rivelato circa sette anni fa alla ABC (Australian Broadcasting Corporation) che alcuni militari dispiegati in Afghanistan avevano commesso gravi crimini contro la popolazione civile per poi darsi copertura l’un l’altro, mentendo o negando quanto accaduto.

La ABC, grazie al lavoro dei giornalisti Dan Oakes e Sam Clark, ha quindi raccolto tutto il materiale ottenuto in sette documenti conosciuti come Afghan Files, pubblicandoli nel luglio del 2017, dopo averne riconosciuto l’importanza e la veridicità. A seguito di queste pubblicazioni, la sede della ABC è stata perquisita dalla polizia federale australiana nel giugno del 2019, altro episodio molto grave se correlato anche al fatto che l’accusa che ha portato alla condanna di McBride non afferma che i crimini non sono stati compiuti, ma che la “talpa” non doveva diffonderli per questioni di sicurezza nazionale. Quindi, per le democratiche autorità australiane il problema non è che il proprio esercito in Afghanistan abbia messo in atto azioni contrarie al diritto internazionale, ma che queste violenze e crimini siano diventati di dominio pubblico.

McBride non ha mai negato di aver fatto trapelare i file ma, quando intervistato, ha più volte ribadito di essere interessato a discutere coi giudici se era “giustificato o meno a farlo” dato che, secondo lui, erano notizie che andavano diffuse in quanto argomento di interesse pubblico.

Altro particolare rilevante è che i giudici lo hanno condannato nonostante l’indagine compiuta dal governo australiano abbia confermato ciò che McBride aveva dichiarato e cioè che esistevano prove credibili a sostegno delle accuse di crimini di guerra (per questo motivo, infatti, un militare è stato arrestato ed è in attesa di essere processato).

Siamo pertanto di fronte ad una totale incoerenza nel comportamento tenuto dal governo australiano. Da un lato, vi è stata la sentenza che ha condannato McBride, mentre dall’altro vengono confermati i crimini e le violenze commesse in Afghanistan che hanno portato alle indagini di un altro giudice anche nei riguardi del pluri-decorato Ben Roberts-Smith, sospettato di essere “complice e responsabile dell’omicidio” di tre cittadini afghani.

A seguito della condanna, vari rappresentanti della società civile e delle organizzazioni per i diritti umani hanno rilasciato dichiarazioni a difesa di McBride e preoccupandosi per quanto accaduto. Kieran Pender, direttore del Human Rights Law Centre ha detto che si tratta di “Un giorno buio per la democrazia australiana” sottolineando che questo verdetto avrà sicuramente un effetto deterrente sulle potenziali fonti che potrebbero in futuro voler denunciare crimini compiuti dalle cosiddette democrazie in teatri di guerra.

Anche Rawan Arraf, direttore del Australian Centre for International Justice, ha fatto notare che “Si è trattato di una farsa: la prima persona ad essere messa in carcere per i crimini in Afghanistan non è un criminale di guerra bensì un informatore” che ha aiutato a portare alla luce queste violazioni.

Ma in questo periodo storico siamo particolarmente abituati alle molteplici contraddizioni che caratterizzano le democrazie occidentali. Sconcertante è l’enorme divario tra quanto viene dichiarato pubblicamente e in modo propagandistico per rabbonire le folle, e quel che invece viene implementato praticamente, come ad esempio succede con la guerra di Gaza. Ma anche grazie ai social, utilizzati ampiamente per diffondere notizie ed immagini, abbiamo imparato a riconoscere dove sta il “marcio dell’occidente” perché ormai tutte le maschere sono cadute.

Crediti immagine copertina: Mick Tsikas/EPA