Il contributo italiano alla musica ottomana che la Turchia sta valorizzando

Ankara ha una una nuova sala da concerto: destinata all’Orchestra sinfonica presidenziale di Turchia (Cso, nell’acronimo turco), è stata finalmente inaugurata a dicembre dopo una lunga attesa. Il progetto, firmato da Semra e Özcan Uygur, è stato selezionato infatti già nel 1992; poi i lavori hanno accumulato ritardi, con un ulteriore slittamento anche quest’anno. 

In realtà, alla Cso è stata consegnata una vera e propria cittadella della musica, nel cuore della capitale: una sala principale da 2023 posti, dall’acustica perfetta; poi altre due sale più piccole, spazi all’aperto, una biblioteca, il museo e l’archivio di quella che è una delle orchestre più antiche al mondo.

È stata fondata addirittura nel 1826 dal sultano Mahmud II, dopo lo scioglimento cruento del corpo dei giannizzeri; è nata quindi come banda militare, non propriamente come orchestra. In ogni caso, le sue origini sono state messe in musica in occasione dei concerti inaugurali che si sono susseguiti dal 3 al 5 dicembre, con ospiti artisti turchi e internazionali come il soprano Angela Gheorghiu (purtroppo con una partecipazione limitata di spettatori, a causa del covid). Origini che legano la musica di corte ottomana all’Italia.

I primissimi brani dell’orchestra diretta dal giovane direttore Cemi’i Can Deliorman sono stati infatti le marce Mecidiye e Aziziye, l’equivalente degli inni nazionali dell’Impero ottomano: più precisamente inni dinastici composti per i sultani Abdülmecid I e poi Abdülaziz, rispettivamente da Giuseppe Donizetti paşa e Callisto Guatelli sempre paşa (titolo onorifico dei grandi ufficiali).

Il fratello del più celebre Gaetano arrivò a Istanbul come “istruttore generale delle musiche imperiali ottomane”: il primo direttore della futura Cso, che ovviamente addestrò secondo i principi della musica “occidentale”. Compose i primi due inni imperiali: la marcia Mahmudiye per Mahmud I, nel 1829; poi per l’appunto la Mecidiye, nel 1839.

Donizetti paşa insegnò musica ai membri della famiglia reale, principesse dell’harem comprese. Organizzò anche stagioni operistiche e spettacoli musicali di ogni tipo a Pera, il quartiere cosmopolita al centro della città oggi conosciuto come Beyoğlu; ospitò celebrità come ad esempio Franz Liszt, che gli dedicò la Grande Paraphrase de la marche de Donizetti composée pour Sa Majesté le Soultan Abdul Mejid-Khan

La riscoperta di colui che Gaetano chiamava “il mio fratello turco” si deve soprattutto al musicologo, direttore d’orchestra e compositore turco di Emre Aracı: è autore di una sua pregevole biografia, ne ha eseguito le opere per lungo tempo dimenticate in un concerto a Bergamo nel 2007, ha curato progetti discografici che riscoprono la musica del XIX secolo ottomano.

Donizetti rimase nell’allora capitale fino alla sua morte, nel 1856; è sepolto nella cripta della cattedrale cattolica di Saint Esprit. Il suo posto venne preso da Callisto Guatelli da Parma: già direttore del teatro Naum a Pera, dal 1848 contrabbassista nell’orchestra di corte del sultano. Come il suo predecessore, Guatelli visse il resto della sua vita a Istanbul (vi morì nel 1900), compose un inno dinastico – l’Aziziye, nel 1861 – e insegnò musica alla famiglia reale. 

Un’altra marcia – la Reşadiye, per Mehmed V Reşad – venne composta nel 1909 da un terzo italiano, Italo Selvelli (nato a Costantinopoli da padre italiano e madre greca). In uno dei dischi che Emre Aracı ha dedicato alla “Musica europea alla corte ottomana”, oltre a questi inni ci sono anche composizioni di alcuni sultani – Selim III, lo stesso Abdülaziz, Murad V – e una marcia di Gioachino Rossini scritta per il sultano Abdülmecid I. Intrecci storici italo-ottomani, ormai quasi dimenticati al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti e degli appassionati: ma che hanno avuto di nuovo una ribalta solenne, nella nuova sala da concerto di Ankara.