La scrittura come scultura di Raymond Carver

Era il 1993, mi sembra ieri ma sono passati da allora quasi tre decenni, quando in un cinema milanese vidi America oggi, un film a episodi di Robert Altman, che mi colpì perché straordinariamente bello; sì dire bello mi rendo conto che è un po’ generico, ma francamente non riesco a trovare un aggettivo meno banale; coinvolgente? Emozionante? Intrigante? Va bene bello. Insomma il film mi piacque davvero tanto.  

Venni poi a sapere che la sceneggiatura era basata su una serie di racconti di Raymond Carver, autore per me fino a quel momento assolutamente sconosciuto. Andai in libreria a cercare qualcosa di suo. Trovai una raccolta di racconti che si intitolava Cattedrale. Me ne innamorai. Raymond Carver (1938-1988) è uno scrittore di cui è facile innamorarsi. Un po’ per la sua storia; una vita breve e difficile ma, come lui stesso disse, ricca e splendidamente vissuta; molto per la forza della sua arte. 

Figlio di un operaio di una segheria e di una cameriera, nacque in un paesino dell’Oregon, Clatskanie, dove trascorse i primi tre anni della sua vita; è America profonda e America profonda è il paese dove la famiglia si trasferisce in seguito, Yakima nello Stato di Washington. Si sposò poi giovanissimo e metterà al mondo due figli, lui diciannovenne, sua moglie invece di anni ne aveva diciassette. 

Entrare nella vita con così presto, il fardello di due figli piccoli evidentemente non è cosa facile. Si ingegnò per vivere accettando e inventandosi mille mestieri. Si racconta di lui che da fattorino andò a consegnare un pacco a casa di un intellettuale, un professore universitario, e mentre aspettava di ricevere il pagamento per la sua commissione, prese in mano una rivista di poesia che poi, incuriosito, chiese in prestito. 

Fu per lui un’illuminazione, scrivere racconti e poesie divenne la passione della sua vita. Non scrisse mai romanzi però; a lui piaceva, come ebbe a dichiarare, entrare e uscire nelle storie rapidamente, senza complicazioni. Decise sul momento di farsi narratore e poeta. Si iscrisse all’università e frequentò corsi di scrittura creativa.

Ebbe da un punto di vista narrativo come modelli e maestri, grandi autori americani: Hemingway e Faulkner che agli inizi del suo percorso di scrittore cercò di imitare, scostandosene poi però ben presto per divenire un caposcuola inimitabile. Amava Flaubert e Maupassant, ma indubbiamente fu il Čhecov dei racconti il suo più grande padre spirituale e artistico. 

Negli Stati Uniti, già alla fine degli anni cinquanta erano disponibili corsi per imparare a scrivere; da noi arriveranno molto più tardi, e ancora c’è qualche ritrosia all’idea che a scrivere, come in qualsiasi altra attività umana, sia necessario imparare, magari con l’aiuto di un maestro. Per la cronaca, gli insegnanti di scrittura creativa di Carver furono John Gardner e quello che poi sarà anche il suo editor, Gordon Lish. 

Non riuscì a vivere della sua arte fino al 1976, anno della pubblicazione della sua prima raccolta di racconti, Will You Please Be Quiet, Please? Tradotto in italiano come Vuoi star zitto per favore?

In quello stesso anno trovò la forza di liberarsi dalla schiavitù dell’alcol. La bottiglia lo aveva tenuto legato e condizionato a lungo. Rigettò anni dopo in un’intervista il cliché dell’artista a cui l’alcol aveva in qualche modo dato un contributo alla sua creatività affermando con decisione che nulla di buono la sua opera doveva alla bottiglia, anzi.

A leggere i suoi racconti si entra in un’atmosfera rarefatta e pulita, come un’aria di alta montagna; perché Carver, nomen omen, – to carve in inglese significa scolpire, intagliare, incidere- costruisce i suoi racconti eliminando tutto quello che è superfluo, tutto quello che appesantisce inutilmente il discorso, e per lui ogni parola, ogni verbo è prezioso, e via via eliminando il superfluo resta l’essenziale, come in un haiku giapponese. 

Per questo col coltello della sua prosa, solo in apparenza facile e semplice, che infatti per questo ha trovato poi legioni di mediocri imitatori, arriva al cuore di un’umanità spesso confusa e dolente; la gente dell’America post-bellica, l’America delle grandi città e della provincia sconfinata, l’America della Coca-Cola e del Jazz. 

Carver ci parla dell’America della sua vita, una terra ricca e bellissima, ma molto spesso dura, violenta, spietata; ci parla della debolezza, della violenza e della vigliaccheria delle persone, ma è capace di illuminare questo quadro cupo con squarci di umana comprensione e di amore. 

Esemplare il racconto, che fa parte della raccolta Cattedrale, A Small Good Thing, tradotto in italiano col titolo Una cosa piccola ma buona, che nell’episodio che vi si ispira del film di Altman è interpretato tra gli altri da un superlativo Jack Lemon e da Tom Waits, dove un pasticcere a cui era stata ordinata una torta di compleanno che nessuno passerà a ritirare, per vendicarsi telefona in continuazione di giorno e di notte a casa di chi gli aveva ordinato la torta per poi riagganciare appena dall’altra parte rispondono. La torta non era stata ritirata perché nel frattempo il bimbo a cui era destinata era stato investito da un’auto ed era entrato in un coma da cui non si sarebbe risvegliato. 

I genitori scoprono infine l’autore di quegli squilli telefonici anonimi e ossessivi ma sorprendentemente il tragico equivoco si chiarisce e la tensione si scioglie in un dolente ma umanissimo e commovente abbraccio. 

Racconti bellissimi, come bellissimo è il So Much Water So Close To Home, (Con così tanta acqua a due passi da casa) che fa parte della raccolta Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, dove una compagnia di amici pescatori decide di trascorrere un week end in montagna e pur imbattendosi nel cadavere di una giovane donna che galleggia nelle acque dove avevano deciso di pescare, non interrompono la pesca, rimandando la denuncia del loro ritrovamento alla fine del week end. 

Poi c’è il Carver poeta, e la poesia non è certo la parte meno importante della sua opera. Le sue poesie assomigliano ai suoi racconti; la stessa essenzialità, la stessa pulizia espositiva, lo stesso pathos antiretorico ed antieroico. La prima raccolta pubblicata si intitola Fires del 1983, l’ultima, pubblicata postuma, A New Path to the Waterfall, (Un nuovo cammino alla cascata), dove la cascata attende ognuno di noi alla fine di questo cammino misterioso che è la vita. Tutte le sue poesie e molti suoi racconti sono pubblicati in Italia da Minum Fax e da Einaudi. Mondadori gli ha poi dedicato un meraviglioso meridiano che raccoglie tutti i suoi racconti e alcuni suoi saggi sulla scrittura. 

Chiudo queste mie righe di omaggio a Raymond Carver con questa sua breve poesia intitolata Late Fragment tratta da A New Path To The Waterfall, Un nuovo cammino alla cascata, poesia che ogni essere umano vorrebbe come epitaffio:

And did you get what/you wanted from this life, even so?/I did./And what did you want?/To call myself beloved, to feel myself/ beloved on the earth

E hai ottenuto quello che / volevi da questa vita, nonostante tutto? / Sì. / E cos’è che volevi? / Potermi dire amato, sentirmi / amato sulla terra.